Si è parlato tanto, in questi ultimi giorni, del c.d. “decreto lavoro” approvato in Consiglio dei Ministri il 1° maggio u.s. con tanto di video-presentazione girato a palazzo Chigi, una autentica novità in questo senso, che è poi stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 103 (Decreto Legge 4.05.2023, n. 48).
Il predetto provvedimento reca “misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro” e introduce parecchie novità in materia di lavoro e di sociale, in primis: il taglio del 4% del c.d. “cuneo fiscale” per il secondo semestre 2023, ottenuto attraverso l’esonero parziale dai contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti fino a 35mila € di reddito; la modifica della disciplina del contratto di
lavoro a termine, che ne allunga la durata dai 12 ai 24 mesi attraverso “causali” anche derivanti da esigenze organizzative delle aziende; l’elevazione della soglia di utilizzo dei voucher fino a 15.000 euro annui; infine, lo stop al “reddito di cittadinanza” e l’introduzione dal 1.1.2024 dell’ “assegno di inclusione”.
Ma il decreto legge di che trattasi reca anche misure in materia di pensioni, tre in particolare.
La prima novità consiste in una ricongiunzione dei contributi più onerosa. Come noto, la c.d. “ricongiunzione” consente di trasferire i versamenti effettuati presso Enti previdenziali differenti presso un unico soggetto, che alla fine calcolerà la pensione con le proprie regole, operazione, questa, che ha un costo finalizzato a coprire l’armonizzazione delle diverse regole previste dai vari enti pensionistici, e che
sino ad oggi prevedeva l’applicazione di un tasso di rivalutazione del 4,5%. Ebbene, a tal proposito, il “decreto lavoro” prevede che, a partire da oggi, il costo della “ricongiunzione” per i lavoratori sia maggiorato, in considerazione del combinato disposto tra gli oneri a carico del lavoratore che aumentano e una rivalutazione del montante contributivo che si riduce. Dunque, non proprio una bella notizia.
La seconda novità introdotta dal “decreto lavoro” riguarda la pensione dei c.d. “lavoratori precoci”, e cioè di coloro che hanno iniziato da giovanissimi l’attività lavorativa, prima dei 18 anni, e hanno accumulato almeno 12 mesi di contributi, versati anche in maniera non continuativa prima del diciannovesimo anno di età, e che possono andare in pensione con la c.d. “quota 41”, e cioè con 41 anni di anzianità contributiva indipendentemente dall’età anagrafica. A tal proposito, il “decreto Lavoro” allarga da due a tre le uscite per i lavoratori precoci: oltre a quelle già previste del 31 marzo e del 30 novembre, sarà ora possibile l’uscita anche al 15 luglio, a condizione ovviamente di rientrare in una delle situazioni di disagio economico o sociale previste per l’Ape sociale: essere disoccupati e da almeno tre mesi non percepire più assegni di disoccupazione; caregiver familiari di conviventi con disabilità o non autosufficienti; inabili al lavoro per almeno il 74%; soggetti rientranti in una delle categorie di lavoratori che svolgano mansioni gravose.
La terza e ultima novità in materia di pensioni recata dal “decreto lavoro” è data dalla norma che proroga fino al 31.12.2025 il c.d. “contratto di espansione”, introdotto nel 2019 dal “decreto crescita” e che consente di avviare piani concordati di esodo per i lavoratori che si trovino a non più di 60 mesi (5 anni) dal conseguimento del diritto alla pensione. Dunque uno “scivolo” attuabile però solo previo accordo sindacale, con l’azienda che andrà a pagare il costo della pensione maturata dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto fino al momento in cui il lavoratore raggiunge i requisiti per la prestazione pensionistica vera e propria, anticipata o di vecchiaia. Quindi, con la predetta proroga, sino a tutto il 2025 sarà possibile ricorrere al contratto di espansione previo accordo tra le Parti datoriali e
sindacali.
Per quanto riguarda invece il taglio del c.d. “cuneo fiscale”, è utile precisare che la misura è destinata ai lavoratori dipendenti con reddito imponibile annuo fino a 35.000 euro, e dunque non riguarda i pensionati. A tal proposito, però, è utile precisare che, ancorché l’incremento in busta paga dei lavoratori che ne beneficeranno derivi dalla diversa destinazione (in busta paga) dei contributi previdenziali in capo al datore di lavoro, l’operazione sarà a costo zero per i lavoratori e senza alcuna penalizzazione sull’importo del futuro assegno pensionistico in quanto sulla quota di versamenti mancanti interverrà lo stanziamento previsto dal DL Lavoro, di importo pari a 3 miliardi, a copertura dei
4 punti aggiuntivi di taglio da luglio a dicembre 2023 (il problema sarà invece quello di renderlo strutturale con rifinanziamento ad hoc).
Prima di concludere, è il caso di segnalare un altro decreto legge, c.d. “omnibus”, adottato dal Consiglio dei Ministri in data 4 maggio 2023, provvedimento con il quale, tra le altre cose, viene stabilita la decadenza degli attuali vertici di INPS e INAIL (Pasquale Tridico e Franco Bettoni) e il commissariamento dei due Istituti nelle more della revisione della loro governance.
Nel comunicato stampa di palazzo Chigi del 4 maggio u.s. che dà conto di questa scelta del Governo, vengono indicate anche le linee portanti della futura riforma dell’INPS, che viene così rappresentata: “Si abolisce la figura del Vicepresidente, si prevede una modifica dei poteri del Presidente, che propone la nomina del Direttore generale (prima appannaggio del consiglio di amministrazione) e si prevede una
modifica della disciplina del Direttore generale, stabilendo che lo stesso sia nominato dal c.d.a. su proposta del Presidente, duri in carica 4 anni (in allineamento con tutti gli altri organi, anziché 5) e sia scelto con procedura comparativa di interpello, come per i dirigenti della pubblica amministrazione, anziché tra i dirigenti interni o tra gli esperti della materia. In via di prima applicazione, al fine di
procedere agli adeguamenti dei regolamenti organizzativi e interni degli enti, si prevede che entro 20 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge sia nominato un Commissario straordinario, con la conseguente decadenza dei presidenti, dei vicepresidenti e dei consigli di amministrazione”.
Naturalmente, nell’esprimere qualche perplessità rispetto alla scelta di commissariamento adottata dal Governo che è apparsa non sufficientemente motivata, attendiamo di conoscere il nome del nuovo Commissario, i suoi intendimenti programmatici e, anche, i contenuti del progetto di riforma dell’Istituto, questioni che non possono non interessare da vicino le pensionate e i pensionati.