Riteniamo utile pubblicare quanto tratto da un intervento della dott. Mariella Spinosi sulla rivista online SCUOLA 7 a proposito dei quesiti oggetto della prova scritta del recente concorso a posti di dirigente scolastico.
Orbene, la dott.ssa Spinosi ha così evidenziato, per ciascuna domanda, possibile impostazione della risposta:
Come è noto, la prova scritta del concorso ordinario a dirigente scolastico si è svolta il 30 ottobre scorso. Anche se il MIM non ha pubblicato le 5 domande previste dal Regolamento, di fatto gli argomenti si conoscono proprio perché resi noti dagli stessi interessati.
Sembrerebbe, dunque, che i cinque temi, estratti da un repertorio di domande predisposto dal Comitato tecnico scientifico, siano i seguenti: formazione in servizio; gestione amministrativo-contabile; attività e compensi dei docenti nell’ambito del potenziamento dell’offerta formativa; permessi brevi; costituzione delle reti scolastiche.
Si presuppone, data la tipologia di concorso, che tutte le trattazioni abbiano richiesto la conoscenza del quadro normativo di riferimento e delle responsabilità dirigenziali.
L’importanza della sinossi
Più volte in questa sede, abbiamo messo in evidenza la complessità di una prova che chiede in meno di 30 minuti di portare a sintesi, e in maniera documentata, un argomento ampio e complesso. Sappiamo bene che per fare sintesi occorre molto tempo. Lo hanno detto illustri studiosi: da Blaise Pascal a Voltaire, da Mark Twain a Goethe e molti altri che hanno ragionato a lungo sull’importanza del riassunto. Perfino il filosofo tedesco, Theodor W. Adorno, ha dissertato sull’argomento nei suoi “Minima moralia” nel 1951[1].
Fare una sinossi chiara di un libro letto o di un film visto non è una operazione per tutti facile. Questo tipo di prova chiede ancora di più: il candidato deve essere in grado di scrivere un abstract di una tesi o di un saggio che non ha mai scritto, o di un libro che non ha mai potuto leggere per intero e che conosce solo per frammenti. È questa la condizione per poter superare la prova.
Vision o dettagli?
C’è da chiedersi, inoltre, quali sono le competenze attese che l’aspirante dirigente deve dar prova di possedere: avere chiara la visione e la direzione da seguire o conoscere il dettaglio delle procedure e le specificità che attengono ad ogni singolo passaggio di un processo? Nel primo caso le domande a cui un aspirante dirigente immagina di dover rispondere possono riguardare i comportamenti dirigenziali per far crescere la scuola, per migliorare gli apprendimenti degli studenti, per aumentare il livello di inclusione, per diminuire il fenomeno della dispersione, per valorizzare le professionalità… Se si chiede invece, come sembra sia accaduto in questo tornata concorsuale, come devono essere fruiti i permessi brevi del personale docente ed ATA o qual è il trattamento economico per particolari prestazioni, si rischia di inquinare la stessa funzione dirigenziale: sono questi dettagli non difficili da reperire quando servono, se però a monte si ha quella visione di scuola che guarda al futuro delle giovani generazioni.
Alea acta est
Oramai il dato è tratto ed è questa la sfida che i decision maker hanno lanciato a tutti i candidati che, tra l’altro, erano già stati messi a dura prova da un test preselettivo per nulla facile. Su i quasi 25.000 aspiranti dirigenti che si erano presentati alla prova preselettiva, circa 2.300 sono stati ammessi a sostenere la prova scritta, mentre i posti a disposizione sono 587. Sottraendo anche una ipotetica percentuale del 10/15% degli aventi diritto che hanno disertato la prova scritta, si può ragionevolmente pensare che un candidato su tre riuscirà a raggiungere la meta. Proviamo, allora, senza avere alcuna pretesa di esaustività, ad analizzare le cinque domande cercando di capire che tipo di selezione di norme e procedimenti il candidato abbia dovuto effettuare e quali informazioni abbia dovuto privilegiare per riuscire a costruire un testo organico, corretto e coeso tale da farsi apprezzare dalla commissione esaminatrice.
Domanda 1: “Formazione in servizio”
Questa domanda richiama una delle più grandi responsabilità del dirigente scolastico. Egli sa che i docenti sono i principali protagonisti di un servizio qualitativamente elevato e che, per assolvere pienamente la propria funzione, devono essere in possesso di una professionalità adeguata. È pure consapevole che la formazione in servizio è diventata, con il comma 124 della legge 107/2015, obbligatoria, permanente e strutturale e che tale disposizione è stata resa operativa attraverso specifici finanziamenti, incrementati prima con il comma 125, oggi con i finanziamenti del PNRR. È una componente importante della vita della scuola e non può essere, quindi, relegata tra le attività marginali.
La prima azione istituzionale per garantire una buona formazione in servizio è quella di predisporre un “Piano annuale delle attività” in cui prevedere, seppure a grandi linee, le iniziative di formazione per il personale docente. Ciò rientra nelle responsabilità gestionali del Dirigente scolastico, ma costituisce ancor più un’azione strategica. Tale piano deve essere compilato nel rispetto delle norme e delle prerogative degli organi collegiali, e deve comprendere la predisposizione degli strumenti di presidio, di monitoraggio, di controllo e di valutazione.
Dal punto di vista contrattuale la formazione in servizio è richiamata nell’articolo 36 (CCNL 2019-2021) che è quello che disciplina attività, procedure, tempi e anche eventuali compensi.
Costruire un buon piano di formazione è una strategia efficace non solo per valorizzare e incentivare la professionalità docente, ma soprattutto per migliorare la qualità dell’offerta formativa e, conseguentemente, degli apprendimenti degli studenti. È compito del dirigente, quindi, promuovere azioni mirate partendo dal presupposto che i docenti possono sviluppare la loro professionalità attraverso modalità differenti, non solo seguendo corsi formali, ma anche partecipando alla ricerca, condividendo strumenti e strategie, documentando buone pratiche. Sul piano organizzativo il DS può individuare un docente tra i collaboratori (comma 83 legge 107/2015) cui assegnare la responsabilità di seguire tutte le operazioni e anche di supportare le esigenze personali e professionali di ciascuno. Ma non sufficiente. Per favorire il dialogo e la condivisione, potrebbe essere utile, per esempio:
- costruire un gruppo di lavoro, che seguirà personalmente, con lo scopo di discutere, programmare e definire le priorità e le attività che si intendono privilegiare;
- promuovere tra gli insegnanti la redazione di un bilancio di competenze e di un relativo piano individuale di sviluppo professionale, da cui rilevare i bisogni formativi sia a livello di singolo insegnante sia a livello di istituzione;
- presidiare, con appositi strumenti di rilevazione, la ricaduta della formazione sia a livello istituzionale (per esempio: condivisione con i colleghi), sia sulle scelte didattiche.
Il dirigente sa bene, però, che non tutti i docenti sono consapevoli di quanto sia importante lo sviluppo professionale, dovrà prestare, quindi, una particolare attenzione alle situazioni critiche. Un altro aspetto fondamentale che garantisce coerenza e significatività alle scelte effettuate è il coordinamento delle attività formative con le priorità del PTOF e del PDM.
Domanda 2: “Gestione amministrativo-contabile”
Sembrerebbe che la domanda sulla gestione amministrativo contabile sia stata posta in maniera generica e non in riferimento a qualche aspetto specifico del DI 129/2018. Appartiene, quindi, alla categoria dei quesiti che apparentemente sembrano facili, ma che presentano invece molte insidie. La prima è quella di selezionare le informazioni più significative non potendo, il candidato, riassumere in poco tempo e in poco spazio tutte le indicazioni contenute nel Regolamento di contabilità.
Questo è un rischio perché nessuno garantisce che tale scelta vada a coincidere con quella che la commissione apprezzerebbe di più.
Forse è preferibile puntare soprattutto sul Programma annuale, che è lo strumento contabile più importante, collegandolo con il PTOF e anche con la Direttiva al DSGA attraverso la quale il DS fornisce indicazioni per raggiungere gli obiettivi dell’autonomia scolastica. Non si può tuttavia omettere che il DS è responsabile della gestione dei beni che costituiscono il patrimonio delle Istituzioni scolastiche, che può trovarsi pure nelle condizioni di dover gestire aziende agrarie.
Le responsabilità del dirigente sono tutte indicate poi nell’artico 3 e non sono altro che quelle dell’art. 25 del D.lgs. 165/2001 e del comma 78 della legge 107/2015 dove si definiscono i concetti di gestione unitaria dell’istituzione e di legale rappresentanza, dove si parla di compiti di direzione, organizzazione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane. È all’interno di queste macro aree di responsabilità che si inseriscono poi i compiti specifici relativi alla gestione delle risorse finanziarie e strumentali.
Ricordare che il Decreto interministeriale 129/2018 nasce dalla legge 107/2015 potrebbe essere utile (ma non indispensabile) per ripensare proprio agli scopi fondamentali per cui un decennio fa si era reso indispensabile modificare il precedente regolamento. Bisognava, infatti, incrementare l’autonomia contabile, armonizzare i sistemi, semplificare gli strumenti, dematerializzare gli atti (comma 143).
A prescindere dal taglio che ognuno individua come funzionale alla domanda, il Programma annuale che il DS deve predisporre in collaborazione con il DSGA, non potrà essere ignorato. Si dovrà sicuramente accennare alla sua articolazione in “entrate” e “spese”, e precisare che le “entrate” sono aggregate per fonte di finanziamento e che le “spese” per destinazione; ricordare anche che l’unità di gestione è quella dell’anno solare.
Siamo convinti che qualsiasi commissione apprezzerebbe un richiamo al concetto di gestione unitaria e all’esercizio della leadership che il DS deve esercitare non solo con i docenti, ma con tutta la comunità professionale.
Domanda 3: “Attività dei docenti nell’ambito del potenziamento dell’offerta formativa”
Questa domanda, apparentemente semplice, può creare qualche confusione se non si conoscono bene tutti i riferimenti della legge 107/2015 e alcune norme contrattuali. In modo particolare, in riferimento alla legge 107/2015:
- il comma 5 che istituisce l’organico dell’autonomia funzionale alle diverse esigenze dell’Istituzione scolastica;
- il comma 6 che specifica come le istituzioni scolastiche devono effettuare le scelte in base a criteri;
- il comma 7 che elenca 17 obiettivi formativi prioritari tra cui il potenziamento delle competenze linguistiche, logico-matematiche, cultura musicale, metodologie laboratoriali…;
- il comma 14 (punto 2 lettera b) che mette in evidenza la coerenza del PTOF con il fabbisogno dei posti per il potenziamento dell’offerta formativa.
C’è inoltre il comma 95 che ha definito, a suo tempo (anno scolastico 2015-2016) il piano di assunzione dei docenti a tempo indeterminato, e il comma 85 che fa riferimento alla possibilità di utilizzare tale organico potenziato anche per supplenze brevi.
Le scuole, nella gestione dell’organico potenziato, in base alla situazione che di anno in anno si viene a determinare, utilizzano abbastanza frequentemente il comma 85 (supplenze brevi). Tuttavia è il comma 5 che permette di qualificare l’offerta formativa. Stabilisce infatti che detti docenti “concorrono alla realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa con attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di progettazione e di coordinamento”.
In realtà il termine “potenziamento” può essere anche confuso con “ampliamento” richiamato dall’artico 9 del DPR 275/1999. Tale termine però ha un’accezione più generale e può ricomprendere al suo interno le diverse attività che attengono specificatamente alle ore di potenziamento. Può pure essere confuso con il termine “arricchimento” che troviamo nel CCNL istruzione e ricerca 2019-2021 (in modo particolare nell’articolo 43), ma anche nel comma 2 dell’artico 9 prima citato.
Resta il fatto che tali ore possono essere utilizzate in modi diversi e tutte determinano potenziamento, ampliamento e arricchimento dell’offerta formativa.
Il richiamo al trattamento economico è un dettaglio che poteva essere evitato perché fa parte di un sapere che si perfeziona in situazione, non di un presupposto per una buona governance della scuola. Certo il dirigente deve essere consapevole del bilancio complessivo della scuola, dei fondi dedicati, delle regole di gestione: è questo che permette di muoversi con disinvoltura sia ex ante, nella stesura dei documenti strategici dirigenziali, in primis, dell’atto di indirizzo, sia ex post, cioè in sede di rendicontazione. Comunque a titolo informativo per ogni ora di attività di recupero sono destinati 55 euro, per ogni ora di attività di insegnamento sono destinati 38,50 euro, mentre tutte le innumerevoli attività che migliorano la qualità della scuola vengono, in genere, compensate in maniera forfettaria in relazione alle risorse disponibili e alle priorità definite in fase di programmazione dell’azione didattico-educativa.
Domanda 4: “Permessi brevi”
La necessità di gestire la richiesta di permessi brevi costituisce una pratica quotidiana. Il dirigente scolastico, che ha la responsabilità di prendere decisioni in merito, deve partire da due presupposti: la conoscenza delle norme contrattuali e il corretto uso della discrezionalità laddove si creano le condizioni per esercitarla. Sembra che la domanda della prova concorsuale sia centrata però solo sul primo presupposto e non tanto sulla capacità di governance di questo istituto contrattuale.
Dunque, sia per il personale ATA sia per il personale docente a tempo indeterminato vige ancora l’articolo 16 del CCNL 2006-2009, il quale stabilisce che il dipendente ha la possibilità di usufruire di permessi brevi per esigenze personali di durata non superiore alla metà dell’orario giornaliero individuale di servizio. Per il personale docente, la durata massima è di due ore, per un totale di ore corrispondente al rispettivo orario settimanale di insegnamento. Tale richiesta non deve essere accompagnata da alcuna documentazione. Il dirigente può concederlo a patto che ci sia la possibilità di sostituzione con personale in servizio, anche con corresponsione di ore eccedenti, ma non con nomina di un supplente.
Per tutto il personale (docenti ed ATA) assunto a tempo determinato, la questione è disciplinata nell’articolo 35 dell’attuale CCNL 2019-2021 dove si definiscono ferie, permessi e assenze per le diverse tipologie di contratto individuale. Per tutti sono comunque previsti permessi non retribuiti per la partecipazione a concorsi.
Per quanto riguarda specificatamente il personale ATA, si può fare riferimento anche all’art. 69 del CCNL 2019-2021 dove si parla di assenze per visite e prestazioni sanitarie di varia natura. Per queste esigenze sono riconosciute 18 ore in un anno scolastico comprensive dei tempi di percorrenza per raggiungere la sede e poi, di nuovo, il posto di lavoro. L’articolo regolamenta tutte le possibili variabili tra cui quella di usufruire di permessi brevi recuperandoli in un’ottica di flessibilità. Comunque, tutta la disciplina dei “permessi a recupero” è indicata poi nell’articolo 100 (Permessi orari a recupero) e nell’articolo 101 (assenze per l’espletamento di visite, terapie, ecc.) del contratto vigente.
A fronte di una domanda così specifica, viene da chiedersi se la funzione presunta del DS sia quella applicativa di un diritto contrattuale o se invece sia quella di garantire l’esercizio di tale diritto nel rispetto della qualità organizzativa della scuola. Resta il fatto, comunque, che il personale docente ed ATA conosce bene i propri diritti e i propri doveri; sa bene, quindi, come organizzarsi quando si verifica tale esigenza, tanto che, molto spesso, la richiesta di un permesso breve è accompagnata da una proposta organizzativa che permette di evitare i possibili disservizi.
Domanda 5: “Reti di scuole”
Anche se non conosciamo come è stata articolata la domanda sulle reti di scuola, possiamo verosimilmente immaginare che si chieda al candidato di definire il ruolo del dirigente scolastico nella costituzione delle reti in relazione, ovviamente, alla normativa di riferimento.
Il candidato potrà partire, quindi, dalla legge 107/2015 che valorizza il modello collaborativo delle reti (commi 70-74) già disciplinate dal Regolamento dell’autonomia (art. 7, DPR 275/1999).
Il comma 70 della legge 107/2015 specifica che sono gli uffici scolastici regionali a promuovere la costituzione di reti tra istituzioni scolastiche del medesimo ambito territoriale. Sono però gli “accordi di rete” tra autonomie scolastiche (comma 71) che definiscono le finalità, il modello di gestione e le risorse da destinare alla rete. Gli accordi di rete possono essere costituiti per finalità diverse: attività didattiche, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di formazione e aggiornamento; oppure per azioni amministrative e contabili, così pure per acquisti di beni e servizi.
Il candidato potrà poi ricordare che con le Linee guida nel 2016 il Ministero ha fornito indicazioni circa la loro costituzione suddividendole in “reti di ambito” e “reti di scopo”. Le prime, costituite da scuole appartenenti allo stesso ambito territoriale, hanno lo scopo di trovare la migliore soluzione agli aspetti organizzativi e gestionali comuni e condivisi. Le seconde sono costituite, invece, da scuole appartenenti anche ad ambiti diversi che si aggregano sulla base dell’individuazione di un’area progettuale comune e con precise priorità. Sono le reti di scopo quelle che fanno direttamente riferimento al Regolamento dell’autonomia.
Il dirigente scolastico è colui che firma l’accordo di rete (sia di ambito, sia di scopo), ma su delibera del Consiglio d’Istituto. È così che viene specificato nei due modelli allegati alle Linee guida del 2016.
Quali sono quindi le responsabilità del DS in questo specifico settore? Il dirigente sa che lavorare in rete consente di gestire più efficacemente la complessità, favorisce il lavoro di squadra, promuove la cultura della condivisione, aiuta a tessere relazioni professionali. È all’interno di tale consapevolezza che l’azione del dirigente scolastico può risultare strategica. Per esempio può individuare insieme alla comunità professionale le diverse ‘specializzazioni’ che le scuole della rete possono mettere a disposizione per potenziare l’efficacia delle azioni condivise; può sollecitare i docenti e tutto il personale ad operare nello spirito di condivisione in quanto la qualità di una scuola si misura soprattutto da quanto sa essere sorgente di pratiche virtuose; può proporre direttamente alle altre scuole del territorio accordi di rete per affrontare e approfondire temi di interesse comune.
Anche se formalmente un accordo di rete ha bisogno della sola delibera del Consiglio di Istituto, un dirigente sa bene che la sua tenuta è garantita dal livello di partecipazione e responsabilizzazione di tutta la comunità professionale.
E i criteri di valutazione?
Ora i candidati sono in attesa dei criteri di valutazione che presumibilmente, come è accaduto nei precedenti concorsi, dovranno essere indicati dalla commissione nazionale. Ma, essendo questo concorso organizzato su base regionale, potrebbe succedere che tali criteri siano demandati alle commissioni regionali.
Resta comunque il fatto che il bando è a carattere nazionale anche se il comma 5 dell’articolo 8 del Regolamento (Decreto 13 ottobre 2022, n. 194) sembra rimettere alle commissioni di nomina del Direttore generale dell’USR la responsabilità: “Il presidente della commissione iniziale coordina i lavori delle sottocommissioni e definisce i criteri generali per lo svolgimento delle attività concorsuali. La commissione definisce in una seduta plenaria preparatoria procedure e criteri di valutazione omogenei e vincolanti per tutte le sottocommissioni”.
Nel concorso precedente, per esempio, furono individuati 4 criteri: innanzitutto si voleva premiare la coerenza e la pertinenza con le competenze del dirigente scolastico assegnando fino ad un massimo di 6 punti; il candidato che riusciva poi ad inquadrare bene il tema da trattare sul piano normativo poteva puntare ad avere un massimo di 4 punti; la capacità di sintesi, l’esaustività e l’aderenza all’oggetto del quesito venivano premiate con 3 punti, così pure la correttezza logico formale. Erano dei criteri molto laschi che però orientavano verso priorità ben definite. Se tale responsabilità verrà delegata alle commissioni regionali il rischio di creare ricorsi per difformità di trattamento è reale. Le commissioni regionali potrebbero, infatti, definire criteri con priorità diverse enfatizzando aspetti differenti della professione. Ciò potrebbe, nel tempo, contribuire anche a determinare tanti profili regionali, diversi da quello nazionale.