Per esaminare la fattispecie di utilizzazione che viene disposta in alcune scuole, bisogna rifarsi a quanto previsto dall’art.14, comma 2, del d.lgs. 66/2017 che, per l’appunto, dispone che il D.S. per valorizzare le competenze professionali e garantire la piena attuazione del Piano annuale di inclusione, possa proporre ai docenti dell’organico dell’autonomia di svolgere anche attività di sostegno didattico, purché in possesso della specializzazione, in coerenza con quanto previsto dall’articolo 1, commi 5 e 79, della legge 13 luglio del 2015, n. 107.
Bisogna sottolineare che nel comma 5 dell’art.1 della legge 107/2015 è scritto che i docenti dell’organico dell’autonomia concorrono alla realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa con attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di progettazione e di coordinamento.
Ai sensi del comma 79 della legge 107, il dirigente scolastico può utilizzare i docenti in classi di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati, purché posseggano titoli di studio validi per l’insegnamento della disciplina e percorsi formativi e competenze professionali coerenti con gli insegnamenti da impartire e purché non siano disponibili nell’ambito territoriale docenti abilitati in quelle classi di concorso.
Le norme suddette danno l’opportunità, sotto forma di semplice proposta e non certo di imposizione, al Dirigente scolastico di creare cattedre miste da assegnare ai docenti che desiderano svolgere servizio anche sul sostegno oltre alle ore della propria disciplina.
Appare quindi chiaro che la cattedra mista può essere assegnata a certe condizioni e soprattutto con il pieno accordo del docente, in nessun modo può essere imposta come assegnazione d’ufficio e magari con la contrarietà dell’insegnante.
Non sono contemplate dalla normativa le cattedre miste con diverse classi di concorso, in tal caso si tratta di formazione delle cattedre illegittima.
L’occasione è propizia per ribadire che proprio l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), con la delibera n. 430 del 13.04.2016 (“linee guida sull’applicazione alle istituzioni scolastiche delle disposizioni di cui alla legge 6 novembre 2012, n. 190”) ha appunto individuato le Istituzioni scolastiche come quelle a maggior rischio di corruzione, con riferimento, tra gli altri, ai processi della progettazione e dell’organizzazione del servizio scolastico; dell’autovalutazione dell’istituzione scolastica; dello sviluppo e della valorizzazione delle risorse umane; della valutazione degli studenti e via discorrendo.
Ciò detto, il potere del dirigente scolastico di trasferire su posto di sostegno i docenti dei posti comuni è sottoposto ad almeno tre limiti:
Il primo limite attiene alle modalità di esercizio del potere dirigenziale
Il comma 2 dell’art. 396 del Testo Unico in Materia Scolastica, alla lett. d), prevede infatti che al personale direttivo spetta “procedere alla formazione delle classi, all’assegnazione ad esse dei singoli docenti, alla formulazione dell’orario, sulla base dei criteri generali stabiliti dal consiglio di circolo o d’istituto e delle proposte del collegio dei docenti”.
A sua volta, l’art. 7 comma 2 lett. b) stabilisce che il collegio dei docenti “formula proposte al direttore didattico o al preside per la formazione, la composizione delle classi e l’assegnazione ad esse dei docenti, per la formulazione dell’orario delle lezioni e per lo svolgimento delle altre attività scolastiche, tenuto conto dei criteri generali indicati dal consiglio di circolo o d’istituto”.
L’art. 10 comma 4, in linea con tutto quanto detto, prescrive che “il consiglio di circolo o di istituto indica, altresì, i criteri generali relativi alla formazione delle classi, all’assegnazione ad esse dei singoli docenti …”.
Appare chiaro, allora che non è consentito al dirigente scolastico di spostare i docenti ad libitum dalle classi curriculari al potenziamento ovvero, ancora di più, a posti di sostegno, adducendo a giustificazione l’ampiezza delle misure adottabili nell’ambito tracciato dall’organico dell’autonomia.
Piuttosto, l’assegnazione dei docenti deve essere necessariamente avvenire nel rispetto di quanto stabilito dal Consiglio di Istituto, al quale spetta l’elaborazione dei criteri generali per la formazione e l’assegnazione delle classi, su concorde proposta del Collegio dei Docenti.
Il provvedimento dirigenziale che dispone l’assegnazione, peraltro, dovrà necessariamente riportare in motivazione l’avvenuto rispetto dei suddetti criteri. Ciò in quanto l’atto di assegnazione, pur qualificandosi come atto di natura negoziale o privatistica, è in ogni caso assoggettato, secondo la giurisprudenza maggioritaria (si veda, tra gli altri, Trib. Agrigento n. 2778 del 3.12.2003), ai comuni principi di diritto amministrativo, con speciale riferimento a quello di imparzialità e di parità di trattamento
Se la motivazione dell’assegnazione è carente o insufficiente, ovvero se i criteri del Consiglio di Istituto non sono stati rispettati, l’assegnazione del docente deve reputarsi illegittima e può essere sottoposta al sindacato del Giudice del Lavoro.
Il D.S non può pensare di non soggiacere al rispetto dei criteri privatistici della buona fede e della correttezza, come riconosciuto anche recentemente dalla giurisprudenza ordinaria, quando si osserva (Tribunale di Reggio Calabria n. 2568 del 12.02.2016) “non ignora il collegio il potere discrezionale riconosciuto dalla legge al dirigente scolastico di assegnare i docenti alle classi… E però il potere di assumere le vette determinazioni gestionali, ormai estraneo all’ambito del potere pubblicistico, è ricondotto nell’alveo del potere negoziale, governato anche dei principi comuni e tra questi quelli della correttezza e della buona fede che connotano l’esercizio dei diritti e dei poteri contrattuali, tanto più trattandosi di soggetto pubblico e soggetto a responsabilità anche risarcitoria, in funzione del buon andamento e imparzialità (articolo 97 della costituzione) perché l’esercizio non può trasmodare in arbitrio o gravi condizioni di disparità di trattamento tra il personale allorché determini ciò un apprezzabile sacrificio della sfera soggettiva del dipendente interessato che non trovi corrispondenza nella necessità di assicurare l’efficiente ed efficace azione amministrativa e la valorizzazione delle risorse umane di cui deve pur sempre offrirsi, ove contestate le modalità di esercizio, adeguata esternazione delle ragioni… Nel caso di specie il potere dirigenziale di assegnazione alle classi soggiace al rispetto, in via speciale, dei criteri posti dal consiglio d’istituto e dalle proposte degli organi collegiali e, in via generale, dei predetti principi di correttezza, buona fede e imparzialità”.